Il voto amministrativo ha impresso un nuovo impulso alla trattativa per la privatizzazione del Montepaschi. Che i destini della banca più antica del mondo siano dipendenti dagli umori della politica toscana e soprattutto romana non è una novità, ma non c’è dubbio che la tornata elettorale appena conclusa abbia diminuito non poco la pressione istituzionale sui principali protagonisti della partita. A partire da Unicredit, la banca che dovrebbe mettersi sulle spalle tutta l’operazione sotto la regia del nuovo amministratore delegato Andrea Orcel. In questi giorni infatti in piazza Gae Aulenti e, soprattutto, nell’entourage del ceo si respira un clima di cauta fiducia che dovrebbe rivelarsi propizio per l’esito della trattativa. In particolare due meeting che i team operativi coordinati da Giacomo Marino e Andrea Maffezzoni avrebbero tenuto nei giorni scorsi si sarebbero rivelati particolarmente costruttivi. Anche dal lato del Tesoro nella squadra guidata dai dirigenti Stefano Capiello e Filippo Giansante e assistita dagli advisor Bofa Merrill Lynch e Orrick il clima sembra incoraggiante. Con queste premesse una decisione definitiva potrebbe arrivare gia’ entro la presentazione dei risultati trimestrali di Unicredit, anticipati al prossimo 27 ottobre. Sull’esito nessuno ancora si sbilancia, ma molti indizi lasciano intendere che l’accordo potrebbe ormai essere abbastanza vicino. Fra tutti i motivi di fiducia, l’allentamento della pressione politica non è l’unico elemento su cui si basa la fiducia delle controparti. Nel corso degli ultimi due mesi sono stati infatti smarcati molti aspetti critici del deal, mentre per quelli rimasti sul tavolo della trattativa la soluzione sembra ormai vicina. Tra questi ultimi il più delicato è quello relativo alla diminuzione del personale. Sin dall’annuncio del term sheet di fine luglio Orcel è stato abbastanza chiaro nell’escludere un’operazione costosa in termini di capitale, tema su cui in queste ultime settimane il banchiere romano non ha smesso di insistere. Va da sé che in quest’ottica il personale rappresenta un elemento di grande attenzione. La cifra su cui le parti stanno provando a convergere, spiegano due fonti qualificate a MF-Milano Finanza, è quella di 6.000-7.000 esuberi, da realizzare comunque in forma volontaria e senza licenziamenti. La cifra includerebbe il piano esuberi annunciato all’inizio di quest’anno dal Monte (con 2.700 uscite preventivate su un arco quinquennale di cui circa mille quest’anno) ma mai sinora implementato. Un tema al centro del confronto sarebbe poi il livello medio di produttività dei dipendenti della banca che, in base ai dati analizzati nel corso dell’estate, risulterebbe più basso rispetto alla media degli istituti bancari italiani e rischierebbe quindi di zavorrare la nuova combined entity. Facendo un esempio oggi il Monte ha una media di 15 dipendenti per filiale contro i dieci di Bper e Credem e i 13 di Banco Bpm.(m.f)
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